Buon lunedì!
Vi ricordo che c’è sempre il cuoricino, per farmi sapere se il numero vi è piaciuto: 7 cuori la scorsa settimana! :)
Buona lettura!
📰 Questa settimana in pillole (di link)
📱Apple ha presentato i nuovi iPhone e l’HomePod Mini
👾 Among Us è il gioco del momento
🏦 Square compra circa 5,000 Bitcoin
💲Bitcoin è nel mezzo di un grande cambiamento
Questo numero è stato scritto dopo aver selezionato gli argomenti più interessanti in 73 articoli.
IPHONE È REALTÀ
Quando Apple ha annunciato i nuovi iPhone martedì scorso, Tim Cook ha lasciato la parola al CEO di Verizon Hans Vestberg che, in un breve discorso, ha poi affermato che “5G just got real”, perché gli iPhone ora supportano il 5G in tutto il mondo - sebbene in modi diversi.
Ah, ma quindi prima di questo momento il 5G non esisteva? Quindi tutti gli smartphone Android con il 5G non contano? E cosa succede ora, magicamente tutti gli operatori rendono disponibile il 5G?
In Italia, Vodafone e TIM offrono il 5G in quasi tutte le nuove offerte, WIND TRE ha iniziato recentemente, e all’appello manca solo Iliad. Ho provato il 5G qualche tempo fa e ora ho anche un paio di smartphone 5G - e non è andata benissimo, ma non l’ho riprovato, sinceramente. Anche perché sto molto tempo a casa, e ci starò sempre di più se nelle prossime settimane / mesi si riproporranno dei mini lockdown. Negli Stati Uniti la situazione è ancora peggiore, quindi mi chiedo: chi userà davvero il 5G ora?
Ma la questione che voglio analizzare nella prossime settimane è: cosa succede se ora davvero il 5G magicamente è veloce come sarebbe dovuto essere tempo fa? Vuol dire che Apple ha in qualche modo ‘frenato’ gli operatori nel rilascio del 5G? Apple può avere questo potere di controllo sugli operatori? Forse è un film che mi sto facendo, ma leggendo 5G just got real durante il keynote, non ho saputo pensare ad altro.
IL DIGITAL DOPING
Essendo tendenzialmente a casa quest’anno, causa pandemia, gli sport digitali sono sempre più popolari. Non mi riferisco - o almeno non solo - agli eSports come PUBG Mobile, League of Legends, DOTA 2 e Fortnite, ma alla vera e propria traslazione degli sport fisici, reali, in digitale. Ad esempio, Strava si può intendere come una piattaforma di sport virtuale (non mi sembra corretto definirlo eSport) perché si registra una corsa e poi, grazie a quella, si possono ottenere badge, punti in classifica e premi (se si corre in una gara virtuale). Ci sono piattaforme che prendono questo concetto e lo rendono ancora più virtuale: Zwift, per esempio, si collega a Strava e permette agli atleti di gareggiare in circuiti virtuali (bici o corsa) e vincere dei premi.
Così come nelle gare vere c’è chi si dopa, anche nelle gare virtuali esiste il digital doping, che consiste nell’usare dei bot per aumentare le proprie statistiche, sbloccare dei contenuti esclusivi in poco tempo o scalare le classifiche per ottenere punti extra. In poche parole, usare i bot per vincere. Immaginate un Tour de France su Zwift, in cui i corridori possono usare dei bot per simulare la corsa al posto proprio, non faticando e allo stesso tempo ottenendo la medaglia per aver vinto.
Questo oggi succede nelle corse virtuali. Certo, ci si chiede che senso abbia fingere di stare in forma, se l’obiettivo di correre o andare in bici è proprio lo stare in forma e muoversi. Ma in realtà, in queste piattaforme, gli interessi stanno velocemente cambiando: con premi in denaro, visibilità verso sponsor che cercano influencer a cui associarsi, la posta in palio è sempre più simile a quella delle gare reali.
Ad oggi non esiste una regolamentazione per il digital doping, come invece esiste per il normale doping, perché ancora non sono chiare tutte le modalità che un’attore malevolo può sfruttare per ottenere vantaggi. Una porta si apre, e bisogna controllare chi entra e come lo fa. Ne parlerò meglio in un approfondimento su La Stampa nei prossimi giorni.
SENZA CURA
Un lunghissimo approfondimento del New Yorker racconta come il modo in cui Facebook gestisce le policy sui contenuti sia guidato principalmente dall’imbarazzo pubblico: in poche parole, fino a che non si attiva una discussione pubblica riguardo un contenuto che Facebook non ha moderato correttamente, non viene fatto nulla.
Questo è successo, nel corso dell’ultimo anno, con le dichiarazioni deumanizzanti di Jair Bolsonaro (il presidente del Brasile), con il “When the looting starts, the shooting starts” del presidente USA Donal Trump, e con una miriade di altri discorsi e iniziative d’odio - la più importante di tutte, sicuramente, quella relativa ai gruppi QAnon - qui un approfondimento di Internazionale su come funziona.
Moltissimi dipendenti, sia corporate che di partner che si occupano della moderazione dei contenuti, si sono licenziati dichiarando di non poter continuare a ‘parlare con il muro’ praticamente, sollevando delle discussioni su contenuti con hate speech ma ricevendo solo risposte generiche da parte del policy team.
Lo stesso policy team ha un framework, chiamato Implementation Standard, che viene condiviso e deve essere pedissequamente seguito dai moderatori in tutto il mondo, che però è immediatamente scavalcato da ordini di Menlo Mark (il quartier generale di Facebook). C’è da chiedersi se la situazione possa cambiare, prima o poi.
Grazie per essere arrivati fin qui, il vostro supporto conta molto per me. Se vi ho aiutato in qualsiasi modo a capire meglio la situazione, vi chiedo di dimostrarmi un piccolo segno di affetto con una donazione. Questa newsletter la scrivo con la passione di chi non smette mai di informarsi e fa dell’informazione il proprio lavoro, in maniera disinteressata ed il più possibile imparziale.
Alla prossima settimana!
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