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📰 Questa settimana in pillole (di link)
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Questo numero è stato scritto dopo aver selezionato gli argomenti più interessanti in 33 articoli.
MA NON ERA AL SERVIZIO DI TUTTI?
OpenAI, la startup che è stata resa famosa da un investimento di 10 milioni di dollari da parte di Elon Musk e da un commitment di 1 miliardo da Microsoft, ha recentemente annunciato che la versione più corposa della sua intelligenza artificiale in grado di generare dei testi verosimili di qualunque tipo, GPT-3, sarà disponibile alla vendita per le aziende (o istituzioni) che vogliano approfondire ed espandere l’utilizzo di intelligenza artificiale per i loro business. OpenAI ha dichiarato di avere già una dozzina di clienti che hanno accesso alle API di GPT-3, e questo mette in discussione la missione ‘benigna’ della startup che aveva invece dichiarato di lavorare ad un’AI da mettere a disposizione dell’umanità. Sono anni ormai che la comunità scientifica dibatte attorno al dilemma dell’utilizzo etico dell’intelligenza artificiale, e ci sono molti punti deboli che rendono ancora più delicata la discussione, tra cui:
Servono molti soldi: per creare algoritmi di intelligenza artificiale (machine learning o deep learning) ci vogliono tante risorse umane: data scientists, matematici, teorici dell’informatica, esperti in reti neurali, e così via. Mettere in piedi un team con queste figure è molto oneroso: i data scientists sono relativamente economici (sono spesso i neolaureati in ingegneria) ma ne servono moltissimi, mentre le altre sono figure estremamente specializzate e solitamente già assunte dalle Big Tech. Serve un investimento ingente per mantenere questo tipo di operazioni;
Le Big Tech hanno un vantaggio di mercato: aziende come Google e Facebook detengono in pima istanza quantità pressoché illimitate di dati da usare per affinare gli algoritmi, mentre le startup devono fare affidamento su dati pubblici o pagare per i dati delle Big Tech.
Vendere GPT-3 non è forse la migliore idea da un punto di vista etico (non si sa quali usi potrebbero farne le aziende in futuro), ma potrebbe essere l’unico modo per finanziare gli sviluppi futuri.
VIA!, E STARAI MEGLIO
Se n’è parlato per tutti questi mesi, e in queste settimane le aziende stanno davvero cambiando rotta: dopo l’annuncio di Facebook che avrebbe permesso ad una gran parte della sua forza lavoro di lavorare da casa senza limiti di tempo, molte aziende (non solo in Silicon Valley) hanno sondato il terreno della forza lavoro distribuita. I vantaggi sono evidenti: i dipendenti hanno più libertà, (sembra che) sono più produttivi, costano effettivamente di meno al datore di lavoro (niente spazio in ufficio e costi annessi) e c’è la possibilità di raggiungere competenze prima limitate dalla posizione geografica. Ma con questo annuncio ne è arrivato anche un altro: lo stipendio sarà adattato al costo della vita dello stato/regione/città in cui si vive.
Ora, se questa sembra una fregatura, è perché lo è, ma solo ad un pensiero superficiale: ragionando a fondo, invece, alcuni piccoli dettagli fanno la differenza e cambieranno il modo di pensare al lavoro. Per esempio, molti dipendenti non avevano il pranzo offerto dal datore di lavoro: rimanendo a casa, si può pianificare con molte meno variabili (traffico, riunioni impreviste, ecc.) e anche a medio (di settimana in settimana) e lungo termine (di mese in mese). Questo da la possibilità di fare la spesa in maniera ragionata, di essere più attenti alle spese in generale e soprattutto di automatizzare una gran parte delle attività ripetitive, ottimizzando la propria postazione di lavoro, le pause e i momenti di distrazione. Avere più ordine al lavoro (personale e tra colleghi) potrebbe portare benefici inaspettati e ancora sconosciuti. In soldoni: sì, in termini assoluti magari si guadagna di meno, ma i benefici di una vita più rilassata possono portate ad una vita migliore (?).
MAI PIÙ COME PRIMA (?)
La Liga spagnola (di calcio) ha cercato metodi ingegnosi per far tornare l’atmosfera dello stadio gremito, ma in maniera virtuale (digitale). Se gli stadi della Bundesliga (campionato tedesco) sono vuoti di persone e di suoni, quelli della Liga sono riempiti con suoni e immagini generati automaticamente con il videogioco FIFA 20, per simulare i cori dello stadio e le persone sugli spalti - sebbene in quest’ultimo caso la visuale digitale funzioni solo da alcune telecamere. Un approccio simile sarà adottato (sembra) dalla Premier League che andrà in campo il prossimo 17 giugno.
Ma forse questa è un’opportunità per cambiare il modo in cui si vive il calcio: immaginare, magari, che per vedere una partita non si debba andare su Sky, ma su FIFA 20. Avere la possibilità di giocare la partita che si sta giocando in tempo reale, oppure di ‘interagire’ con la partita vera, con il controller (quello della Playstation 5 appena annunciata può farlo) che vibra quando il pallone è calciato, quando c’è un gol e che registra in tempo reale i cori e le urla dal divano di casa, che vengono poi mixati insieme ai suoni di tutti gli altri per ricreare il coro da stadio ‘da remoto’, distribuito. Immagino le sedie che cambiano forma, e diventano degli schermi che visualizzano il flusso video dalla webcam del tifoso. Forse è troppo futuristico, ma la pandemia ha accelerato così tante dinamiche che non si sa mai cosa potrebbe succedere.
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